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Rousseau: città e campagna

Publié le 24/03/2021

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INDICE Introduzione 2 La teoria dei climi dall'antica Grecia all'età dei Lumi 9 1. Capitolo primo 21 1.1. L'aria pura di montagna 21 1.2. La folla di Parigi 27 1.3. La comunità campestre di Clarens 32 2. Capitolo secondo 37 2.1. La campagna come ambiente educativo per Emilio 37 2.2. La prima educazione 38 2.3. L'adolescenza 44 2.4. L'ingresso in società 47 Bibliografia 50 2 Introduzione La riflessione sulla contrapposizione tra campagna e città nel pensiero di Rousseau assume un profondo significato solamente se la si inserisce nel quadro della sua esperienza personale e intima con questi ambienti. Questa opposizione, infatti, è indice della sua contrastante aspirazione a voler autenticamente "essere" da una parte, e voler socialmente "apparire" dall'altra: la campagna simboleggia il desiderio del Ginevrino di realizzare una personalità autentica e ferma sulle sue posizioni; la città invece, indica quell'inferno sociale da cui Rousseau vuole fuggire ma allo stesso tempo anche il luogo che gli consente di affermare e far conoscere la sua identità. L'isolamento della campagna e le relazioni d'interesse della città corrispondono rispettivamente all’amour-de-soi e all’amour-propre, termini che Rousseau utilizza per indicare quel sentimento buono e naturale che porta ogni individuo a ricercare autonomamente la propria felicità e il proprio benessere e quel sentimento negativo che implica il confronto tra sé e gli altri e quindi fonda la propria esistenza unicamente sui giudizi altrui: L'amor proprio, che implica il confronto, non è mai contento né potrebbe esserlo, perché questo sentimento, portandoci a preferire noi stessi agli altri, esige anche che gli altri ci preferiscano a loro e questo è impossibile. Ecco perché le passioni dolci e affettuose nascono dall'amore di sé, le passioni dell'odio e dell'ira dall'amor proprio1 . La vita di Rousseau, trascorsa tra periodi di soggiorno in campagna e altri in città, simboleggia dunque quella «dinamica-conflitto tra [l']affermazione della propria autenticità e [la] necessità del riconoscimento sociale»2 . Il processo che instilla il bisogno della stima altrui è all’origine della disuguaglianza fra gli uomini, ed è proprio questo il tratto fondamentale che caratterizza il suo secondo Discorso. La nascita della società ha moltiplicato i bisogni dell'uomo, 1 J.-J. Rousseau, Emilio, a cura di P. Massimi, Mondadori, Milano, 2012, p. 281. 2 O. Martini, Passeggiando con Rousseau...in campagna, leggendo «Les confessions», in «CQIA Rivista Formazione Lavoro Persona», anno II, n. 6, 2012, pp. 1-13, p.10. 3 allontanandolo dalla sua natura originaria: da uno stato di spontanea bontà e autosufficienza si è passati ad uno stato artificiale di ineguaglianza, dominato dalla competizione, dalla falsità e dalla dipendenza3 . Ognuno cominciò a considerar gli altri e a voler essere considerato lui pure, e la stima pubblica ebbe un pregio. Chi cantava o danzava meglio, il più bello, il più forte, il più destro o il più eloquente divenne il più stimato; ed ecco il primo passo verso la disuguaglianza e verso il vizio insieme: da queste prime preferenze nacquero da un lato la vanità e il disprezzo, dall'altro la vergogna e l'invidia; e il ribollimento, generato da questi nuovi fermenti, produsse in fine composti funesti alla felicità e all'innocenza4 . Nello stato di natura l'uomo non possiede la ragione, ma tramite il sentimento di pietà è altruista e spontaneo nel rapporto con gli altri uomini, per questo motivo è felice; il cittadino invece, nonostante sia intelligente, è posseduto dal desiderio di competizione e da falsi valori, dunque è indifferente alla sorte dei suoi simili, e questa indifferenza lo porta ad essere infelice. La smania per il riconoscimento, ovvero per la stima dell'opinione pubblica, trova la sua massima espressione nella peggiore di tutte le diseguaglianze che l'istituzione dello stato civile ha portato con sé: l'iniqua accumulazione delle ricchezze, resa possibile dalla proprietà privata. «L'ambizione divorante, la brama di accrescere la propria fortuna personale, meno per una vera necessità che per mettersi al di sopra degli altri, ispira a tutti gli uomini una trista inclinazione a nuocersi reciprocamente»5 . La ricchezza risponde alla sentita necessità di dimostrare il proprio valore e le proprie qualità nel modo più evidente possibile, in modo da schiacciare e prevalere sulla concorrenza. Per valutare quanto una società si sia allontanata dallo stato di 3 Per Rousseau, nell'Émile, lo stato naturale dell'uomo rappresenta l'insieme di quelle disposizioni primitive che caratterizzano la personale costituzione del fanciullo, e che sono anteriori a tutte le abitudini e alle alterazioni dell'opinione sociale. Per questo la natura di Emilio può essere preservata soltanto in campagna, lontano dai pregiudizi della società cittadina. 4 J.J. Rousseau, Discorsi. Sulle scienze e sulle arti; Sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini, a cura di Luigi Luporini, BUR, Milano, E-book edition, 2013, pp. 262-264. 5 Ivi, pp. 278-279. 4 natura è sufficiente considerare le differenze di ricchezza tra i suoi cittadini6 . La ricerca egoistica del vantaggio personale è diventata sempre più forte in proporzione al progresso delle arti e delle scienze: nel primo Discorso il Ginevrino dimostra come la cultura abbia allontanato l'uomo dalla sua semplicità originaria e l'abbia condotto a preferire una vita raffinata e lussuosa, disinteressata al bene comune. Il progresso culturale ha fatto sì che i discorsi meglio formulati prendessero il posto della virtù: «Non si domanda più di un uomo se abbia onestà, ma se abbia ingegno; non di un libro se sia utile, ma se sia scritto bene. Le ricompense sono prodigate ai begli ingegni; e la virtù resta senza onori. Mille premi per i bei discorsi, nessuno per le belle azioni»7 . La città costituisce di conseguenza «l'emblema della cultura per eccellenza» ed è associata da Rousseau «agli aspetti più deleteri della civilizzazione (il commercio, il lusso, il denaro), in quanto si tratta del luogo in cui l'artificialità sostituisce la naturalezza e l'apparire trionfa sull'essere»8 . Il Ginevrino critica gli ambienti di Parigi e i suoi salotti, che si rivelano l'espressione di una società ipocrita, intenta a nascondere la vanità e il desiderio di sopraffazione dietro al buon costume9 . Il mondo menzoniero verso cui Rousseau indirizza tutte le sue critiche rappresenta «una rete sociale fitta di rituali e di regole stringenti»10: Si trattò di un mondo estremamente determinato, inflessibile, che permise alla società di corte francese di imporsi come straordinaria macchina del potere, il cui funzionamento era, prima di tutto, basato sull’adeguamento dei comportamenti individuali all’insieme 6 Nella Nouvelle Héloïse Rousseau associa alla distribuzione equa delle ricchezze e al raro utilizzo del denaro, i costumi semplici e virtuosi dei Vallesiani; alla distribuzione iniqua delle ricchezze e all'uso costante e irrazionale del denaro, l'artificiosità dei cittadini di Parigi. 7 Rousseau, Discorsi. Sulle scienze e sulle arti; Sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini, cit., p. 112-113. 8 M. Menin, Il libro mai scritto. La morale sensitiva di Rousseau, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 256. 9 «La capitale est souvent une fantasmagorie, une mascarade, un théâtre, un monde dans lequel les signes sont substitués aux choses». Dictionnaire de Jean-Jacques Rousseau. Publie sous la direction de Raymond Trousson et Frédéric S. Eigeldinger, Champion, Paris, 2001, voce Ville/cité, p. 920. 10 O. Martini, Passeggiando con Rousseau...in campagna, leggendo «Les confessions», cit., pp. 1-13, p.6. 5 delle regole corrispondenti alla volontà del Re e alle ragioni del suo potere.11 Per quanto Rousseau disprezzasse la vita di Parigi, il desiderio di riconoscimento e la necessità di diffondere le sue opere ed il suo pensiero lo portarono inevitabilmente a condividere tutte le regole di funzionamento di corte; la sua esistenza si trovava perciò implicata con quella degli esponenti della più alta società, che si proponevano di offrirgli il loro supporto. Tuttavia, le dipendenze del Ginevrino dalle gran dame della società parigina, non attenuarono il suo rifiuto verso le rigide convenzioni sociali e non ostacolarono la sua aspirazione alla solitudine e alla libertà. Il conflitto interiore originato dal legame ambivalente con l’aristocrazia e con la società di corte, fece di lui un personaggio sì sovversivo, ma allo stesso tempo stimato e invidiato. Rousseau infatti può essere considerato «come un isolato interprete di un bisogno collettivo di libertà dei sentimenti dai rigidi vincoli imposti dall’etichetta, unico principio [...] di riconoscimento sociale per qualunque membro della società di corte»12 . Attraverso la sua filosofia si fece numerosi nemici, ma allo stesso tempo stimolò la curiosità e l'interesse di molte persone: Il successo dei miei primi scritti mi aveva fatto diventar di moda. Lo stato in cui m’ero messo eccitava la curiosità: si voleva conoscere l’uomo bizzarro che non andava in cerca di nessuno, e che di null’altro si preoccupava se non di vivere libero e felice a modo suo: ciò era abbastanza perché egli non potesse farlo. La mia stanza non era mai vuota di persone che con vari pretesti venivano a impadronirsi del mio tempo. [..] Pur creandomi mille nemici con i miei rifiuti, ero senza tregua aggiogato dalla mia compiacenza e in qualunque modo agissi non avevo un’ora al giorno tutta per me. Sentii allora quanto non sia sempre facile come si immagina essere povero e indipendente. Volevo vivere del mio mestiere: il pubblico non lo voleva13 . Se, da una parte, il legame con la città e con la società di corte è per Rousseau 11 Ivi, p.7 12 Ivi, p.8. 13 Rousseau, Le confessioni, cit., pp. 440-441. 6 imprescindibile, ciò non significa che il suo pensiero non abbia potuto svilupparsi in luoghi del tutto isolati e lontani da questi ambienti. Rifiutando i luoghi cittadini, fonte di male e d’infelicità, Rousseau attribuisce infatti alla vita di campagna e all'ambiente naturale in genere, le caratteristiche ideali per la sincera espressione dell'interiorità. Ritirarsi a vivere in campagna costituisce la condizione per poter affermare le proprie aspirazioni e per poter pensare e scrivere liberamente. La sensibilità e l'affetto dimostrati dal Ginevrino verso l'ambiente campestre possono essere ricondotti al periodo infantile trascorso nella pensione di Bossey: La campagna era per me così nuova che non potevo stancarmi di goderne. Presi per essa un gusto così vivo che non si è mai più potuto estinguere. Il ricordo dei giorni felici che vi trascorsi m'ha fatto rimpiangere quel soggiorno e i suoi piaceri in tutte le età [..] La semplicità di quella vita campestre mi fece un bene di valore inestimabile, aprendo il mio cuore all'amicizia14 . Rousseau approfondisce e rafforza il suo legame con l'ambiente rurale durante il soggiorno ad Annecy, lontano dal clamore cittadino, sotto la protezione di Madame de Warens: Dopo Bossey, era la prima volta che avevo un po' di verde davanti alle mie finestre. Sempre impedito da muri, avevo avuto sotto gli occhi soltanto tetti o il grigiore delle strade […] Consideravo quell'incantevole paesaggio ancora come un altro beneficio della mia cara padrona: mi pareva ch'ella ve l’avesse messo là proprio per me [...] La vedevo dappertutto tra i fiori e la verzura [...] Il mio cuore, represso fino a quel momento, si trovava più a suo agio in quello spazio, e i miei sospiri esalavano più liberamente tra quei frutteti 15 . Sempre con Madame de Warens, trasferitosi nella residenza campestre delle Charmettes, il Ginevrino ha la possibilità di occuparsi di svariate attività bucoliche, e di alternare lo studio con lunghe passeggiate nei boschi: 14 Ivi, p. 63-64. 15 Ivi, p. 162. 7 Mi alzavo tutte le mattine prima del sole. Salivo attraverso un frutteto per un ameno sentiero che si trovava sopra la vigna e seguiva il costone fino a Chambéry [...]. Tornavo passeggiando, facendo un giro abbastanza lungo, assorto a considerare con interesse e voluttà gli oggetti campestri che mi circondavano, i soli di cui l’occhio ed il cuore non si stancano mai16 . Rousseau indica gli anni alle Charmettes come i più felici della sua vita: «Da quando mi ero gettato, mio malgrado, nel gran mondo, non avevo smesso di rimpiangere le mie care Charmettes e la dolce vita che vi avevo condotto. Mi sentivo fatto per il ritiro e per la campagna; mi era impossibile vivere felice altrove»17 . Inoltre, in questo periodo, si delinea il suo profilo di pensatore: le sue idee si formano e si definiscono grazie all'ispirazione che il contesto rurale è in grado di trasmettergli. Per sentirsi in armonia con se stesso Rousseau asseconda il richiamo della natura e si immerge in essa, rifugiandosi in qualche angolo che permetta il giusto isolamento per poter pensare. Il legame che si instaura tra i momenti di studio e l'ambiente naturale è così forte, che assume quasi un aspetto comico; Rousseau confessa di aver perso numerosi libri tra un'occupazione campestre e l'altra: Ho perduto o scompagnato un numero enorme di libri per l'abitudine che avevo di portarne dappertutto, nella colombaia, in giardino, nel frutteto, nella vigna. Intento ad altro, posavo il mio libro ai piedi di un albero o sulla siepe; dappertutto dimenticavo di riprenderlo e spesso, dopo quindici giorni, lo ritrovavo marcio o roso dalle lumache18 . Un altro dei luoghi selvaggi e solitari dove il Ginevrino ha potuto vivere libero è stato l’Ermitage, situato al limite della foresta di Montmorency, divenuto il suo rifugio dopo la lunga parentesi parigina: 16 Ivi, p. 302. 17 Ivi, p. 477. 18 Ivi, pp. 307-308. 8 Il 9 aprile 1756 lasciai la città per non abitarvi più; non considero infatti come abitazione alcuni brevi soggiorni che ho poi tanto a Parigi quanto a Londra e in altre città, ma sempre di passaggio e sempre mio malgrado. [...] Destinai le mie mattinate alla copia, e i pomeriggi alla passeggiata, munito del mio libbricino per annotazioni e della mia matita: non avendo infatti mai saputo scrivere e pensare a mio agio se non sub dio non ero tentato a cambiar metodo, e contavo davvero sul fatto che la foresta di Montmorency, che era quasi alla mia porta, sarebbe stata d’ora innanzi la stanza del lavoro19 . Rousseau attribuisce alla campagna una funzione pacificatrice per lo spirito e la considera come una fonte di ispirazione inesauribile. Il rapporto individuato tra la natura umana e l’ambiente naturale non viene da lui esaltato in maniera sentimentale e ingenua, ma, al contrario, vuole fondarsi su basi obiettive e scientifiche. Per questo motivo, nelle Istitutiones chimiques, Rousseau riprende le antiche e più moderne teorie dei climi per dimostrare come le varie componenti dell’aria e del terreno siano effettivamente determinanti per la salute spirituale e fisica dell’uomo. Ciò che viene argomentato in questo scritto giovanile, troverà il suo più famoso correlato letterario nella Nouvelle Héloïse e nell’Émile. 19 Ivi, p. 479-480. 9 La teoria dei climi dall'antica Grecia all'età dei Lumi La riflessione circa l'influenza che il clima e la morfologia di un territorio possono esercitare sul corpo e sull'animo umano ha caratterizzato la storia della filosofia fin dai suoi albori. Troviamo un suo abbozzo già nell'antica Grecia con le teoria del determinismo ambientale di Ippocrate da Cos, una dottrina che avrà grande fortuna non solo per tutta l'antichità, ma anche in età moderna. Questa teoria infatti, venne ripresa e sviluppata dagli umanisti francesi come Jean Bodin, per poi assumere nuove formulazioni con la filosofia di Montesquieu nel XVIII secolo e diventare un punto di riferimento per molti illuministi. Il pensiero del medico e filosofo Ippocrate da Cos rappresenta dunque il primo tentativo nel mondo occidentale di spiegare il condizionamento dell'ambiente sulla costituzione umana. Troviamo enunciata in maniera compiuta e sistematica la dottrina del "determinismo geo-climatico" nel breve trattato Sulle arie, le acque e i luoghi. Il trattato rappresenta una sorta di manuale sintetico per il medico itinerante, contenente tutte le informazioni utili per valutare in autonomia la situazione di una particolare città. Il medico dovrà tener conto di tutti i fattori ambientali capaci di alterare l'organismo umano al fine di prevedere i loro effetti negativi sulla salute degli abitanti. I fattori individuati sono essenzialmente quattro: i) i passaggi da una stagione all'altra, che sono tra loro dissimili e hanno quindi effetti diversi sugli uomini ii) i venti comuni e quelli caratteristici di una località iii) le acque, di qualità diverse e infine iv) il suolo: fertile o arido, afoso o fresco. Attraverso l'analisi della diversa combinazione di questi fattori è possibile ipotizzare la costituzione fisica degli abitanti di un determinato ambiente e la loro predisposizione a determinate patologie, in relazione all'età e al sesso. Per esempio, nei territori esposti ai venti caldi, dove le acque sono abbondanti, salmastre e superficiali, gli abitanti avranno la testa umida e saranno cadenti nell'aspetto; qui si potranno trovare disfunzioni come la sterilità e gli aborti per le donne, le convulsioni per i bambini e le febbri intermittenti per gli uomini. Nei territori esposti ai venti freddi invece, dove le acque sono gelide e dolci, gli abitanti saranno tesi e asciutti; si 10 presenterà quindi una larga diffusione di malattie come pleuriti e lacerazioni. Gli elementi naturali di una determinata zona geografica non solo rappresentano la causa dell'insorgenza di malattie, ma sono utili anche per comprendere le differenti manifestazioni di temperamento negli abitanti, così come la loro mentalità, i loro costumi, il loro genere di vita e le loro istituzioni. Ippocrate traccia una fisiognomica ambientale facendo corrispondere a determinati territori determinati individui e, di conseguenza, determinati popoli. Dove il territorio è spoglio e montuoso, aspro e afflitto dall'inverno si trovano abitanti duri, asciutti, ben articolati e irsuti, quindi predisposti alla fatica e al valore; dove invece il territorio gode di un buon clima, è ricco d'acqua e di zone fertili, gli abitanti non potranno essere di grande statura e saranno predisposti all'indolenza e alla sonnolenza. Al primo territorio corrispondono i popoli d'Europa, al secondo invece i popoli asiatici. La stessa classificazione sarà ripresa da Aristotele e in parte anche nella teoria dei climi di Montesquieu nel XVIII secolo. La causa principale della mancanza di audacia e di coraggio nei popoli asiatici è imputata da Ippocrate all'uniformità del cambiamento climatico in questi luoghi: il passaggio da una stagione a quella successiva non presenta infatti mutamenti molto sensibili e, per questo motivo, non è in grado di produrre «scosse alla mente» o «forti alterazioni del corpo» che inducano all'operatività20. Al contrario, gli Europei, continuamente sollecitati nel corpo e nella mente dal costante passaggio dal caldo al freddo, acquisiscono maggiore irascibilità e capacità di agire. Secondo il filosofo, «la costante uniformità implica indolenza, mentre il mutamento implica sforzi, per il corpo e per l'anima; dalla tranquillità e dall'indolenza riceve impulso la viltà, dalla fatica e dai travagli nascono gli atti di valore»21 . La natura pigra e codarda degli asiatici e quella ardimentosa e bellicosa degli europei non dipendono soltanto dall'influenza del clima, ma anche dalle istituzioni politiche 20 Montesquieu riprende questo concetto sostenendo come le leggi e i costumi dell'Oriente tendono a rimanere invariati nel tempo, anche dopo millenni, a causa del carattere impressionabile e dalla pigrizia istintiva di spirito del suo popolo. Cfr. Charles L. de Montesquieu, Lo spirito delle leggi, vol. I, UTET, Torino, 1965, pp. 388-389. 21 Ippocrate, Arie, acque, luoghi, Marsilio, Venezia, 1986, p. 120. 11 vigenti nel territorio. La maggior parte dell'Asia è governata infatti da re e tutti gli abitanti dipendono dal suo volere, di conseguenza gli animi «sono ridotti in schiavitù e rifiutano di correre rischi, di propria iniziativa e spontaneamente, per la potenza di un altro»22. Gli Europei al contrario, godono di quell'indipendenza politica che permette loro di agire in modo autonomo, di sfidare il pericolo spontaneamente e di volere la guerra per ottenere una vittoria percepita come una conquista a loro favore. Nonostante gli Europei siano bellicosi e ardimentosi, mancano di socievolezza e gentilezza, caratteristiche che si possono ritrovare invece tra gli asiatici, come conseguenza della mitezza dei loro costumi. Aristotele riprende la teoria dei climi di Ippocrate nel VII libro della Politica23 dove, per dimostrare la superiorità del popolo ellenico e giustificarne la supremazia su tutti gli altri popoli, assegna alla zona temperata e mite della Grecia le caratteristiche ambientali più adatte per lo sviluppo delle capacità intellettuali umane. Nel fare ciò, paragona il popolo ellenico agli abitanti della calda Asia e agli Sciiti, abitanti dei paesi freddi. Il clima freddo secondo Aristotele, conferisce coraggio e amore per la libertà agli abitanti del nord, ma limita la loro intelligenza; il clima caldo invece, induce gli asiatici allo spirito riflessivo, ma nonostante questo, li rende schiavi e pigri. Se al nord i popoli sono troppo selvaggi per tradurre il loro amore spontaneo per la libertà in stabilità politica e al sud la fiacchezza conduce gli asiatici alla sottomissione tirannica, è in Grecia che il clima temperato permette ai popoli di poter vantare migliori istituzioni e organizzazione politiche. I Greci, vivendo a metà tra Asia ed Europa, possono rivendicare le qualità degli uni e degli altri, saranno quindi ardimentosi, intelligenti e liberi. L'influenza della teoria del clima di Ippocrate sul pensiero di Aristotele emerge di nuovo quando, nella delineazione dello stato ideale, lo Stagirita sottolinea l'importanza della scelta del territorio entro il quale lo stato eserciterà il suo governo e potere: l'attività politica e guerresca dei suoi cittadini dipenderà infatti dalla loro 22 Ibidem. 23 Aristotele, La politica, Laterza, Bari, 1966, pp. 335-336; 346-347. 12 salute, che sarà legata a sua volta alla natura dell'acqua e dell'aria della zona che verrà insediata. Nel XVI secolo, Jean Bodin nei Six livres de la République riprende la teoria dei climi di Ippocrate e Aristotele con l'intento di delineare i rapporti tra il clima e il carattere nazionale. Seguendo Aristotele, Bodin considera l'uomo del nord brutale e selvaggio, l'uomo del sud invece propenso alla filosofia e alla religione, ma vendicativo e scaltro. Gli abitanti della zona temperata sono meno vigorosi di quelli del nord, ma più ragionevoli: essi eccellono nella giurisprudenza e nella politica, dove il senso di giustizia li guida negli affari di governo. Le qualità degli abitanti delle zone temperate individuate da Bodin permisero ai francesi durante il XVII e poi ancora nel XVIII secolo di giustificare tramite argomenti pseudoscientifici l'egemonia politica e culturale che essi esercitavano sul resto dell'Europa e tradurla in una missione culturale24 . Oltre ad individuare i diversi caratteri dei popoli in base alle peculiarità climatiche, Bodin si interroga sul legame tra l'ambiente e le leggi di una nazione. Secondo il filosofo non esiste un modello ideale di stato o di governo, ma questi vanno di volta in volta stabiliti tenendo conto delle peculiarità del singolo paese: le leggi devono conformarsi al clima, all'epoca e ai caratteri dei popoli. Dopo due secoli Montesquieu riprende questo concetto nell'Esprit des Lois, opera originariamente anonima uscita in Svizzera nel 1748. Per lo scrittore, infatti, far luce sulle leggi che regolamentano l'esistenza umana significa cogliere quell'influenza vicendevole tra norme giuridiche, società e mondo fisico. Se si tiene presente la definizione formale della legge come «rapporto necessario derivante dalla natura delle cose»25, lo studio del diritto non può prescindere dall'analisi delle condizioni economiche, climatiche e geografiche del popolo a cui la sua legislatura si riferisce. Per questa via lo scrittore fonda una vera e propria teoria del clima, sulla scia dei suoi 24 Cfr. G. L. Fink, La teoria dei climi nel secolo dei lumi, Atti. Acc. Rov. Agiati, a.248, ser. VII, vol. VIII, A, fasc.I, pp. 127-150, p. 130. 25 Montesqueiu «ha cercato, in ogni ramo della conoscenza, l'esprit delle cose, ciò il loro significato intimo, la loro funzione generale, esprimentisi nella legge». S. Cotta, Introduzione a Lo spirito delle leggi, UTET, Torino, 1965, p.8. 13 predecessori. Rispetto alle teorie degli antichi, la teoria dei climi di Montesquieu fa riferimento ad una concezione geografica più ampia e, di conseguenza, ad un sapere scientifico più aggiornato. Possiamo trovare nel pensiero moderno spiegazioni climatologiche che sono l'eco dell'ampliamento dell'orizzonte geografico e antropologico: dopo le spedizioni in Canada, America e Africa la maggior parte del nostro pianeta era stata esplorata. Se per gli antichi i climi erano solo sette e venivano distinti attraverso il riferimento ai luoghi più noti e conosciuti del vecchio continente (Meroè, Alessandria d'Egitto, l'attuale Assuan, Roma, Rodi, il Ponto Eusino e il fiume Boristene), i moderni ne individuano trenta, li indicano come zone o porzioni della superficie della terra delimitati da due cerchi paralleli all'equatore e ne conoscono i precisi intervalli di tempo. Sulla base di queste ultime teorie Montesquieu ha potuto confrontare tra di loro climi e popoli fino ad allora sconosciuti. Il suo pensiero parte dal presupposto che se il clima può avere effetti determinanti sul temperamento del corpo e, quindi, sullo spirito degli uomini, le leggi devono differenziarsi in base alla specificità della condizione ambientale in cui questi si trovano a vivere: «Se è vero che il carattere dello spirito e delle passioni del cuore sono estremamente differenti nei diversi climi, le leggi devono essere relative e alla differenza di queste passioni e alla differenza di questi caratteri»26 . In primo luogo, nell'Esprit des Lois viene proposta la ripartizione dei governi in tre forme, che si allontana dalla ripartizione tradizionale, incentrata sul numero dei governanti: i) la monarchia, dove il re non è soggetto alla legge; ii) la repubblica aristocratica o democratica, sottomessa alla legge e iii) il dispotismo. Montesquieu stabilisce poi una relazione tra queste forme di governo e le diverse zone climatiche. Il filosofo, nel dimostrare la sua teoria, si impegna ad utilizzare un criterio scientifico di indagine, orientato allo studio dell'uomo nella sua fisicità. Questo suo obiettivo, se non viene raggiunto nella delineazione dei governi e delle leggi degli Stati, poiché lo 26 Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., vol. I, p. 381. 14 scrittore «cede alla suggestione del grande esempio metodologico cartesiano»27 e coglie nella storia «delle immagini fisse, acritiche [..] idealizzate dal moralismo e dalla letteratura classica»28, non può non essere raggiunto nello studio delle condizioni ambientali che determinano queste stesse leggi, dove i rapporti sociali sono colti nella loro individualità e «nella loro derivazione dalle cause fisiche»29 . L'analisi delle influenze climatiche e ambientali che determinano la nascita delle leggi sono raccolte nella parte terza dell'opera, dove Montesquieu si affida all'esperienza diretta e ai resoconti di viaggio di botanici e missionari: il metodo di indagine in questo caso non può che essere induttivo. Nel XIV libro il filosofo espone il legame tra i fattori fisici e il temperamento umano, attraverso lo studio della qualità dell'aria. Le differenze climatiche, secondo Montesquieu, possono influire sul temperamento dell'uomo perché le fibre corporee che lo costituiscono assumono caratteri diversi a seconda della temperatura dell'aria: l'aria fredda infatti, rende le fibre del corpo elastiche e favorisce la circolazione del sangue, al contrario l'aria calda ne diminuisce l'elasticità e la forza e le rende più delicate e sensibili. Di conseguenza, nei paesi freddi il cuore avrà maggior forza e quindi il coraggio, il sentimento di superiorità e la fiducia saranno i sentimenti predominanti; nei paesi caldi invece, la circolazione del sangue non sarà favorita e quindi l'animo si troverà scoraggiato, soffrirà di pigrizia e di insicurezza: «i popoli dei paesi caldi sono irresoluti come i vecchi, quelli dei paesi freddi sono coraggiosi come i giovani»30 . Montesquieu, attraverso un esperimento sulla lingua di un montone, deduce come le fibre nervose esposte ad una fredda o gelida temperatura si paralizzano, mentre invece se esposte ad una temperatura calda si espandono e diventano più ricettive. Risulta allora che i popoli del nord, possedendo fibre nervose maggiormente protette perché tendono a ritirarsi alle loro estremità, soffrono meno il dolore e sono meno 27 S. Cotta, Introduzione a Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., vol. I, p. 20. 28 Ivi, p. 21 29 Ivi, p. 24 30 Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., vol. I, p. 383. 15 attratti dai piaceri; quelli del sud al contrario, per la delicatezza e sensibilità delle loro fibre nervose, fanno dell'amore tra i sessi l'unico motivo di felicità e sentono più intensamente il dolore. Pertanto, allo stesso modo in cui possiamo distinguere «i climi per gradi di latitudine, si potrebbe distinguerli, per così dire, per gradi di sensibilità»31 . Montesquieu avanza queste tesi facendo riferimento al sapere medico del suo tempo, che a sua volta rimaneva ancorato alla tradizione degli antichi. In particolare, per quanto riguarda la natura dell'amore, troviamo nell'Encyclopédie32 una spiegazione pseudoscientifica molto simile alla sua: nei paesi caldi, dove la fertilità della donna è precoce, l'amore tra i sessi è un desiderio impetuoso e legato alla corporeità; nei paesi temperati invece è una passione dell'anima che è abitudine analizzare e studiare; nei paesi freddi, dove la donna diventa fertile in un periodo molto avanzato rispetto alle altre zone climatiche, l'amore è un sentimento pacato legato ad un bisogno poco pressante. Nei climi del nord a mala pena si fa sentire l'aspetto fisico dell'amore; nei climi temperati l'amore, accompagnato da mille accessori, si rende piacevole attraverso cose che paiono l'amore stesso, e non lo sono ancora; nei climi più caldi si ama l'amore per se stesso: è l'unica causa di felicità, è la vita33 . Altro elemento che evidenzia il legame tra le teorie di Montesquieu e il sapere del suo tempo è la riflessione sul rapporto tra le abitudini alimentari dei popoli e la natura del clima. Nell'Encyclopédie si sostiene che nei climi caldi risulta naturale mangiare meno e più leggero rispetto ai climi freddi: «les fruits, les légumes, et le viandes légeres, coinviennent mieux aux habitans des climats chauds», mentre «les laitages, les grosses viandes [...] sont des alimens qui paroissent propes aux habitans des climat froids»34 . 31 Ivi, p. 384. 32Encyclopédie, III, voce Climat (Géog.), pp. 532-534. 33 Ivi, p. 385. 34 Encyclopédie, III, voce Climat (Géog.), p. 534. 16 Il pensatore francese condivide questa suddivisione e ne riconduce il fondamento alla traspirazione dei liquidi e alla consumazione delle parti solide nell'organismo umano: nei paesi caldi le fibre del corpo hanno bisogno di poco succo nutritivo per essere mantenute poiché la traspirazione è maggiore, quindi le parti solide nel sangue si dissolvono di meno; per i paesi freddi vale invece il contrario. La traspirazione non soltanto indica la qualità delle sostanze solide che devono essere convenientemente ingerite rispetto alla natura del clima, ma anche la qualità di quelle liquide. Nei paesi dove il clima è caldo la parte acquosa del sangue viene dissipata tramite la traspirazione e per questo è conveniente che venga sostituita con un liquido simile; nei climi freddi invece viene espulsa in minor quantità dall'organismo, così le bevande spiritose o aromatiche possono essere assunte senza danneggiare la natura del sangue. In base a questa distinzione, secondo Montesquieu, è possibile dedurre come la legge che proibisca di bere vino sia conveniente per i popoli del sud, dove un suo abuso è contrario al clima e quindi alla salute, ma non lo sia per i popoli del nord dove il clima sembra imporre una «specie di ubriachezza nazionale». «Se si va dall'equatore fino al nostro polo, si vedrà che l'ubriachezza aumenta ad ogni grado di latitudine. Se si va dall'equatore al polo opposto si vedrà l'ubriachezza crescere andando verso mezzogiorno, come, da questa parte, era cresciuta andando verso nord»35 . Dallo studio degli effetti apportati dal clima sul corpo umano è possibile risalire non solo ai comportamenti più istintivi degli individui, ma anche alle radici originarie dei vizi e delle virtù, delle usanze, dei costumi e delle istituzioni sociali. Rispetto al grado di percettibilità delle sensazioni corporee, per esempio, si possono stabilire vizi e virtù di un popolo. Le passioni più vive, eccitate dai corpi sensibili degli abitanti dei popoli caldi, allontanano dalla moralità e moltiplicano i delitti fra uomini; al contrario le passioni ponderate dei popoli del nord favoriscono la sincerità e la franchezza. Le passioni nei paesi caldi non lasciano spazio a «nessun desiderio di nobili imprese» 35 Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., vol. I, p. 385. 17 e a «nessun sentimento generoso»: in questi ambienti dimora la pigrizia di spirito e le inclinazioni dominanti sono totalmente passive. Questi popoli credono «che il riposo e il nulla siano il fondamento di tutte le cose [... e] considerano quindi l'inazione come lo stato più perfetto»36 . Secondo Montesquieu, «i popoli che vivono in questi climi hanno più bisogno di un saggio legislatore»37 rispetto ai popoli del nord, dove il coraggio e il sentimento di libertà sorgono spontaneamente nel cuore. Per vincere la pigrizia portata dal clima, sarebbe opportuno «che le leggi cercassero di sopprimere tutte le maniere di vivere senza lavorare»38, così da rendere l'ozio una condizione socialmente intollerabile. Per questo il filosofo critica il monachesimo, un'istituzione che favorisce i vizi dovuti al clima dotando di immense ricchezze gli uomini che si dedicano alla speculazione a scapito dell'azione. L'indolenza naturale di questi popoli viene considerata come la causa originaria dell'esistenza della schiavitù civile e delle leggi che la regolano. Dall'animo che sente di non potere nulla, che ha timore di tutto, nasce la predisposizione alla sottomissione e alla schiavitù. Infatti, l'incapacità di iniziativa e la tendenza alla subordinazione per la paura della punizione sono il presupposto di una vita costretta alla dipendenza. La schiavitù civile ben si accorda con le forme di governo dispotico stabilitesi nei paesi caldi, dove «quelli che vengon chiamati uomini liberi non lo sono più degli altri che non possiedono questa qualifica»39. Al contrario, nelle monarchie e nelle democrazie, così come nelle aristocrazie, la schiavitù è meno tollerata se non abolita perché in contrasto con la libertà degli individui istituita dalla costituzione. Sebbene la schiavitù civile sia in accordo con l'indole dei popoli del sud e quindi sia conforme alla ragione naturale, le leggi civili non possono comunque giustificare la sua esistenza. La schiavitù infatti è contraria alla natura umana: alla nascita siamo tutti eguali e con gli stessi diritti, di conseguenza, non può esserci prezzo per la 36 Ivi, p. 388. 37 Ivi, p. 387. 38 Ivi, p. 389. 39 Ivi, p. 417. 18 libertà di nessuno. «La legge civile, che rescinde i contratti che contengono qualche lesione, non può fare a meno di rescindere un accordo che contiene la lesione più enorme di tutte»40 . Montesquieu analizza inoltre il rapporto tra l'ambiente e un altro tipo di schiavitù: la schiavitù domestica. L'influenza esercitata dal clima sul corpo femminile determina infatti l'indipendenza o la sottomissione della donna. Le passioni più violente tra i sessi e l'imposizione del volere maschile su quello femminile sono imputabili alla precocità dello sviluppo sessuale di quest'ultima. Nei paesi caldi le donne devono rimanere sottomesse poiché essendo in età da marito già a nove o dieci anni, non hanno ancora raggiunto la maturità mentale che permetterebbe loro di essere autonome. Di conseguenza, in questi paesi, la poligamia è consentita al fine di instaurare un equilibrio tra le esigenze del maschio e le carenze femminili. Nei paesi temperati al contrario, le donne raggiungono l'età da marito più tardi, hanno così più vaste cognizioni quando si sposano; inoltre le loro attrattive si conservano più a lungo e la loro vecchiaia accompagna quella dell'uomo; in questo modo l'uguaglianza tra i due sessi ha la possibilità di stabilirsi. Tra questi popoli la poligamia non è consentita, proprio perché l'uomo non sente la necessità di avere altre donne dal momento che la sua sposa è capace di soddisfare tutte le sue esigenze. Secondo Montesquieu la poligamia non è utile al genere umano poiché è dannosa ai fini della procreazione, indebolisce il legame di affetto tra il padre e i figli e non è in grado di impedire il desiderio maschile per la donna di altri. Il filosofo sostiene, come aveva già fatto per le leggi sulla schiavitù civile, che le leggi sulla subordinazione della donna sono legate alla tipologia di governo instaurata all'interno dello stato. Dove vige la libertà politica, la schiavitù domestica è meno tollerata se non vietata; dove invece lo stato è abituato ad abusare di tutto l'autorità sulle donne è legalmente esercitata. Se la schiavitù civile e domestica possono trovare origine nella diversa natura di temperamento dei popoli e nelle loro diverse caratteristiche fisiche, la schiavitù 40 Ivi, p. 406. 19 politica si lega in particolare ai fenomeni esterni alla corporeità quindi alle caratteristiche dell'ambiente di vita. L'autore dimostra come la schiavitù e la libertà politica dei popoli siano in rapporto con la natura del terreno. In Asia ci sono pianure ampie e fertili, i fiumi non formano delle barriere poiché la quantità d'acqua viene limitata dalla siccità, così il territorio non può essere diviso in tante zone: la morfologia del paese rende naturale il governo di uno solo su tutta l'ampia area e dunque la schiavitù del popolo. Le zone fertili sono le meglio predisposte dalla natura e quindi le più favorevoli alla vita umana, proprio per questo esse non tutelano dall'invasione straniera e sono oggetto di costanti conquiste: i popoli che vi abitano sono costretti alla sottomissione, ma sono troppo occupati a lavorare le terre per rendersi conto della perdita della loro libertà. Riprendendo Ippocrate, Montesquieu sostiene che la fertilità di un paese procura agiatezza, ma nel contempo produce mollezza e amore per la conservazione. Un altro motivo che rende naturale la schiavitù in Asia è relativo alla morfologia degli stati che si sono istituiti: non essendoci zone temperate, gli stati molto freddi confinano direttamente con quelli molto caldi, cosicché i popoli che per il clima sono naturalmente guerrieri e valorosi si trovano vicini a quelli pigri e irresoluti; le nazioni deboli allora sono facilmente soggiogabili poiché vicino a loro quelle forti sono predisposte alla conquista. In Europa la divisione naturale delle zone forma numerosi stati di media estensione, difficili da sottomettere poiché delimitati da fiumi e montagne: qui vige il governo di molti e di conseguenza la libertà del popolo. La sterilità delle zone montuose rende gli uomini industriosi, abituati al lavoro e atti alla guerra poiché hanno imparato ad ottenere ciò che la terra rifiuta. Per questo motivo, «i paesi non sono coltivati in ragione della loro fertilità ma in ragione della loro libertà, e, se si dividesse la terra col pensiero, si sarebbe meravigliati nel vedere quasi sempre dei deserti nella parte più fertile, e grandi popoli in zone ove il terreno sembra tutto rifiutare»41 . In Europa le nazioni confinanti sono di forza eguale, poiché il clima non cambia 41 Ivi, p. 461. 20 sensibilmente da una zona all'altra, così i popoli tra loro vicini possiedono le stesse caratteristiche di temperamento, quindi pari coraggio. Le conquiste in questo modo vengono limitate e lo stabilirsi di grandi imperi viene ostacolato. Questa è la ragione fondamentale della debolezza dell'Asia e della forza dell'Europa. Riassumendo: in Europa, dove dominano la monarchia o l'aristocrazia, Montesquieu vede governare la legge e regnare l'uguaglianza dei sessi e la monogamia, mentre il dispotismo del governante, la schiavitù dei sudditi e la dipendenza della donna vengono da lui ricondotti al clima torrido delle zone asiatiche. Se l'obiettivo di Ippocrate era di conferire nelle mani del medico itinerante istruzioni per curare al meglio gli abitanti della sua città, le osservazioni di Montesquieu sono utili al medico-legislatore: la sua arte deve infatti consistere «nell'intendere i dettami della complessa natura umana e nell'uniformare ad essa le leggi positive»42. Queste ultime infatti sono state create al fine di ricondurre gli uomini ai loro doveri originari: per quanto il clima possa determinare il temperamento umano e quindi la nascita di determinate leggi, queste non potranno essere giustificate a priori, ma dovranno essere sempre conformi con l'idea di giustizia. Il legislatore deve saper conformare il suo governo e le sue leggi con l'ambiente in cui il suo popolo vive; ma al contempo deve contrastare quelle influenze fisico-ambientali che si rivelano dannose per la comunità. Vi sono, insomma, rapporti fissi stabiliti dalla natura non solo nel mondo fisico, ma anche nel mondo dei valori: La filosofia montesquieuiana verrebbe a situarsi, in tal modo, tra il determinismo assoluto, scartato, perché impedisce di esprimere giudizi di valore, cioè di riflettere sul bene e sul male insito nelle istituzioni dei vari popoli, e l’altrettanto assoluta affermazione di princìpi morali universali, che, soli non potrebbero mai spiegare l’infinita varietà degli usi, costumi, delle istituzioni e forme di governo effettivamente esistenti43

« Università degli Studi di Torino Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione Corso di Laurea Triennale in Filosofia TESI DI LAUREA Città e campagna nel pensiero di Rousseau: l’influenza ambientale sulla natura umana nell’ «Émile » e nella «Nouve lle Héloïse ».

Relatore Candidato/a Prof.

Marco Menin Silvia Ravetto Anno Accademico 2017/2018. »

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